venerdì 22 giugno 2012

UN GUGGENHEIM per l'EMILIA: UNA SPERANZA di RINASCITA per il paese. di Lorella Pieralli


Prima parte: turista a Bilbao Fino agli anni '80 Bilbao era un'oscura città industriale, annerita dagli altiforni della metallurgia pesante e al di fuori di ogni itinerario turistico o culturale europeo.
Una città rigidamente divisa in due dal fiume Nervion, che era stato il motivo stesso della sua esistenza, e che segnava anche il rigido confine di classe tra due mondi socialmente ed economicamente distanti: la classe operaia del ferro e la borghesia industriale.
Due mondi comunque tenuti in equilibrio dal forte collante del lavoro e dell'impresa, fonte di sopravvivenza o di enorme ricchezza e benessere, a seconda della riva del fiume sulla quale avevi avuto la ventura di venire al mondo.
A metà degli anni '80 una serie di fattori di crisi congiunti (il petrolio, l'entrata in Europa estremamente penalizzante per quel comparto produtivo) provoca un collasso irreversibile del tessuto sociale e, nel giro di pochi anni riduce la città ad un fantsama.
I conflitti si fanno esasperati, la disoccupazione raggiunge livelli insostenibili, la zona del porto sulle rive del fiume, con le sue grandi manifatture e i suoi magazzini, si svuota e diventa una tetra ombra di ciò che era.
La conseguenza tra le altre, più preoccupante, è un calo demogrfico nel decennio 1981-1991 di ben il 14%.
Nel 1986 chiudono i cantieri navali Euskalduna fondati nel 1900 e dopo dieci anni gli Altos Hornos de Vizcaja.
Il ferro del Golfo di Biscaglia, premiato alla esposizione universale di Prigi del 1855 non serve più: è la fine di un epoca.
Seconda parte: uno spostamento di prospettiva E' a quel punto che le istituzioni Basche si rivolgono alla Fondazione Guggenheim con l'idea (quale politico locale è stato così geniale?) di creare un consorzio per fondare un museo di arte contemporanea. Il direttore della Fondazione Thomas Krens, reduce dal fallimento di un progetto analogo a Salisburgo raccoglie l'invito.
Nel giro di soli sei mesi (dicasi 6!) viene espletata la gara che assegna il progetto e individua la location.
I vecchi spazi ingombri di container abbandonati sulle rive del Nervion, con la grande falegnameria navale vuota, saranno il luogo del futuro museo, siamo nel 1991.
Vince la competizione Frank Gary, prescelto soprattutto per la portata iconica della sua idea, particolarmente promettente per raggiungere gli scopi di attrattività che sono nelle intenzioni delle istituzioni regionali: una visione politica quasi impensabile da noi.
Il risultato darà loro ragione: il museo è talmente attraente e originale in sé, che vale un viaggio solo per vederlo, in totale indipendenza dalle opere che può contenere.
Oltre questo, la sua presenza e la straordinaria eco che ottiene, innescano una catena di recuperi urbanistici del braccio di mare che penetra nell'estuario del Nervion.
In pochi anni attorno al museo nascono una serie di altri edifici notevoli, tutti firmati da architetti di grande livello come Arata Isozaki, Norman Foster, Rafael Moneo, Santiago Calatrava, Zaha Adid e Cesar Pelli i quali, grazie alla determinazione delle istituzioni basche possono dare alla luce le loro creature.
La modernizzazione di Bilbao è inarrestabile, nascono la Biblioteca di Deusto di Moneo, la nuova Metropolitana di Foster, l'aeroporto e il ponte Zubi Zuri di Calatrava, le torri Isozaki, l'assessorato alla sanità, l'Hotel di Zagorreta ecc...a questo va aggiunta l?edilizia residenziale che ripopola tutta la zona. Oggi la maggior parte degli abitanti di Bilbao è occupata nel terziario nei servizi e nel turismo, in una piccola metropoli estremamente moderna e vivace. Un polo europeo di sviluppo di prima grandezza invece che un suburbio di sottoproletariato abbandonato.
Terza parte:Ho un'idea! Essendo nata a pochi passi dalle zone terremotate dell'Emilia, lo stupore per il livello di distruttività del sisma in quella zona, fino a ieri considerata scarsamente sismica (secondo paramentri misteriosi quanto evidentemente sbagliati) è grande, ed è accompagnato dal ricordo doloroso di quelle piccole fortezze perlopiù rinascimentali di mattoni rossi, spesso sconosciute ai più, che tanto significano per l'identità storica di quei paesini spersi nel deserto sterminato della bassa, intorno al Panaro e al grande Po. Una identità che è nei fatti in larga parte perduta, irrecuperabile.
Conosco però la mia gente, e so quanta intraprendenza e capacità di anticipare il cambiamento, scorra nel sangue emiliano. Non è solo questione di adattamento, ma proprio di energia per cavalcare la vita, e istinto nel saper vedere ovunque opportunità.
Non si può annichilire una popolazione sopravvissuta alla furia del Po e capace di creare un tessuto da 2% del pil a partire da anguille e zanzare...nemmeno il terremoto ci riuscirà.
C'è da chiedersi , con istituzioni locali come quelle Emiliane (nonostante l'ineluttabile degrado, ancora presentabili) se non sia ipotizzabile la rinascita del triangolo geo-culturale Modena, Ferrara, Mantova.
Piagato dal terremoto e disperatamente in difficoltà nel recupero del suo tessuto industriale tradizionale come del patrimonio degli edifici rinascimentali, potrebbe, attraverso un colpo di genio analogo a quello qui descritto, innescare un processo di modernizzazione, e un cambio di passo nel progetto politico dell'intero paese.
Un progetto che guardi al rilancio dell'eccellenza Italiana attraverso cultura e qualità, anziché rincorrere il modello cinese di profitto, filosoficamente basato sulla quantità (e la schiavitù).
Togliere ai Marchionne, grandi e piccini, il diritto di veto sul futuro di generazioni allo stremo, e ridare alla politica il ruolo di progettare il futuro attraverso una visione integrata di bellezza, diritti e bene comune, una politica che non ci faccia rimpiangere gli Este e i Gonzaga.









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martedì 12 giugno 2012

Come affogare nei debiti una Fondazione Lirico Sinfonica italiana.




Vi chiederete come mai i teatri lirici italiani, o meglio molti di loro, siano in grandi difficoltà economico gestionali. Non tutti lo sono, beninteso, ma molti si. Come mai?
La risposta è facile: sono gestiti male. La prima responsabilità, è chiaro, è dei tagli indiscriminati che sono stati calati come una mannaia sul settore negli anni del governo Berlusconi, il governo che ha da sempre ritenuto la salvaguardia del nostro patrimonio culturale un inutile fastidio.
Si diceva: i teatri lirici italiani sono un pozzo di sperpero senza fondo. Quindi, anziché rifondarli per ottenere gestioni virtuose, si è deciso di tagliare i finanziamenti senza di fatto cambiare nulla nel loro modello gestionale.
Sin dalla scellerata idea di trasformare i nostri Enti Lirici in Fondazioni di diritto privato (Rutelli-Melandri) si sarebbe dovuto provvedere a un drastico cambio di modello gestionale: budget prefissati, nessuna possibilità di sforamento, adeguamento delle stagioni alle previsioni di introiti economici.
Invece, nulla di tutto questo accadde.
Sapete come potete oggi gestire una Fondazione? Sapete quale è la prassi di gestione da parte di tanti Sovrintendenti? Tenetevi forte.
Le voci da inserire in un bilancio.
Siete il Sovrintendente e avete incontrato ad una cena un assessore (comunale, regionale, provinciale, fate voi). A questa cena voi l’avete convinto che al vostro Teatro servono seicentomila euro in più per garantire una attività di ampio respiro. Il vostro assessore si dice convinto e vi dice che si può fare.
A questo punto, sulla parola, voi inserite nel bilancio preventivo questi seicento mila euro. Ma non è tutto. Programmate la prossima stagione come se quei seicentomila fossero certi e deliberati. Firmate contratti con i fornitori, con gli artisti, con i registi, con i direttori d’orchestra, con i fornitori di scene e costumi. Sulla parola avete inserito tutte le promesse che vi hanno fatto gli assessori, qualche sottosegretario, qualche amico di una fondazione bancaria, magari qualcuno della confcommercio, della associazioni industriali, ecc. ecc.
Voi avrete portato quindi nel bilancio preventivo (poniamo) cifre per qualche milione di euro che, a vostro dire, vi hanno promesso. Nessuno controllerà. Non i revisori, non i consiglieri di amministrazione, non il sindaco Presidente.
Poi succede che inizia la stagione che avete programmato e che nessuna delle somme previste è entrata. L’assessore ha visto la somma non essere accettata dal Bilancio, le Fondazioni Bancarie cambiano i vertici, le associazioni degli industriali rimangono perplesse, qualcuno esce dal cda, magari. Insomma voi vi trovate con una stagione in corso senza nessuna copertura finanziaria. Vi rimangono solo i soldi che vi dà la legge (come era prevedibile). Ma voi avete firmato impegni di spesa per molti ma molti milioni in più.
E allora la prima cosa che fate è non pagare i fornitori. Niente saldo per i laboratori tecnici e scenografici, niente saldo per i noleggi, niente pagamenti per le forniture sartoriali, ecc. ecc.
Poi iniziate a dilazionare tutti i pagamenti con tutti gli artisti (a parte quelli “amici”). Li pagherete l’anno dopo o a sei mesi se vi arriva la tranche ministeriale. Magari segnate le somme promesse che non vi hanno mai dato enti, assessori vari e compagnia bella come crediti vantati dalla Fondazione. È successo. Succede ancora oggi.
Così avete messo gli assessori, le banche e le associazioni varie con le spalle al muro: «Ci devono più di quattro milioni» magari dichiarate ai giornali. E tutti a bestemmiare contro quei cattivoni che non vogliono scucire i cordoni della borsa.
E arriva il secondo anno dove, come il primo, voi programmate una stagione faraonica e principesca, con grandi artisti e grandi allestimenti. tanto per il secondo anno i fornitori vi daranno ancora credito. Poi sono tanti i fornitori nel mondo. Idem per gli artisti. Troverete sempre un artista disposto a venire gratis o ad accettare di essere scritturato con pagamento incerto anche dopo anni. Lo pagherete di più, ma lo trovate. E anche il secondo anno lo fate senza copertura economica. Dal terzo in poi iniziate a dare le colpe del dissesto finanziario alle eccessive spese per i dipendenti. Va molto di moda e fa sempre un populistico effetto.
Questo trucco funziona in genere per tre o quattro anni. Può durare di più se avete coperture politiche che vi permettono, ogni volta che le deiezioni raggiungono il livello degli occhi, di abbassare un pochino il passivo. Basta un decimo del buco che avete fatto finora per andare avanti ancora qualche anno.
Nel mentre i vostri referenti politici vi troveranno qualche altro aggancio per un nuovo incarico in un altro teatro, magari più prestigioso di quello di prima. Voi lascerete il teatro che avete affogato di debiti magari lasciando anche un bel ricordo… (“Ah, però che belle stagioni che ha fatto…”) e andate da un’altra parte a combinare gli stessi disastri.
Tutte le spese accessorie delle cause di mancato pagamento che perderete regolarmente (ovvio: prestazioni già erogate) andranno poi a ingrandire il buco economico le cui conseguenze pagheranno solo i dipendenti.
Aggiungete accordi di impegni di spesa fra teatri stipulati solo sulla parola, assunzioni amministrative inutili inventando ruoli e uffici senza giustificazione reale, ed ecco che il disastro in pochi anni è compiuto.
Il guaio delle Fondazioni che oggi sono nei guai è che vengono gestite in questa maniera.
Nessuno insegue i manager dissoluti chiedendogli indietro i danni che hanno combinato, nessuno vieta ai sovrintendenti di fare stagioni senza copertura economica certa e si continua con lo sfascio.
nessuno di questi manager che vampirizzano i teatri con le loro gestioni tossiche ha mai terminato il suo mandato più povero di quando ha iniziato. Per essere eufemistico.
Questi gestori distruttori di teatri e fondazioni, sono coloro che oggi hanno i curriculum più ragguardevoli, quelli che incutono addirittura rispetto, a chi non conosce la verità.
Ci sono anche Fondazioni virtuose, è inutile dirlo. Ma tutte quelle che soffrono (tante) sono quelle che da tempo vengono saccheggiate da gestori scellerati. E che continuano a rifiutarsi di cambiare modello di management.
Nessuno dei controllori dice mai nulla durante gli scempi, salvo poi urlare e sbraitare contro i lavoratori e gli artisti quando la frittata non si può più nascondere.
Nessuno si rende conto che l’origine dei buchi vertiginosi da decine di milioni di euro pubblici derivano solamente da aver avvallato e programmato attività superiori a quello che i conti avrebbero permesso. È l’attività di direzione artistica, in combutta con la sovrintendenza, ad affossare i teatri. L’irresponsabile perseveranza negli anni nel fare stagioni e allestimenti “grandiosi” e “indimenticabili” senza poterselo permettere.
Tanto poi i manager che gestiscono i teatri, i loro lauti stipendi li hanno sempre assicurati. Altrettanto non si potrà dire per gli stipendi dei dipendenti o per il lavoro svolto da artisti e fornitori. Tutti questi rischieranno molto.
Ecco perché, ve l’ho spiegato.
Dovunque io vada nel mondo da sempre il nome dell’Italia è accostato all’Opera Lirica che rappresenta la parte del nostro patrimonio culturale più conosciuta sul pianeta. È questo il motivo per cui lo Stato ha sempre ritenuto di doverla tutelare, perché è patrimonio identitario dell’Italia nel mondo.
Ma c’è chi approfitta del doveroso sostegno pubblico per gestire malamente e intascarsi soldi a sbafo. E anche molti. La soluzione non è certo smettere di sostenere pubblicamente questo nostro patrimonio così importante. La soluzione è smettere di mettere al governo dei nostri teatri degli incapaci e allontanarli per sempre. Possibilmente a calci nel culo.
Gianluca Floris



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giovedì 7 giugno 2012

Lirico di Cagliari:smontare i luoghi comuni di Gianluca Floris


 Pubblichiamo volentieri questo post che a nostro avviso può essere letto come paradigma dell'intera situazione della Lirica Italiana. Esprimiamo però una certa perplessità sull'assoluzione delle agenzie, che ci pare un pò acritica. Da questo  punto di vista invitiamo quanti ne abbiano titolo e voglia ad approfondire il seguente aspetto: rapporto tra le agenzie e le direzioni artistiche e degli allestimenti scenici, e loro influenza sulla organizzazione del lavoro, della produzione, dei cartelloni...per il resto siamo di fronte ad una analisi tanto semplice quanto veritiera, che ci pone una interessante domanda: dove caspita mettono i soldi le Sovrintendenze dei nostri teatri???Buona lettura.


Vi fidate?
sono venti anni che faccio l’artista lirico, e lo faccio nei più grandi teatri del mondo. Sono rappresentato da una delle più grandi agenzie internazionali, faccio il regista e lavoro su progettazioni internazionali in Cina e in Scandinavia. Tutto il mio reddito con il quale vivo deriva da questa mia attività e conosco il settore a menadito, con i suoi problemi e le sue potenzialità.
Quando si parla di Lirico di Cagliari sento una quantità tale di castronerie che faccio fatica a stare zitto e adesso qualcosa bisogna che io dica. Ci sono delle convinzioni radicate che sarebbero scusabili in un passante occasionale, ma non si possono perdonare comunque. Mi da fastidio che la gente abbia delle convinzioni false sul teatro della mia città e voglio dare il mio contributo per combattere queste astrusità.
Iniziamo.
“Il Lirico di Cagliari ha un problema di soldi”.
Non è vero, è falso, è una corbelleria, una castroneria, una inesattezza, una stupidaggine. Chi lo dice non sa quello che dice, riferisce cose sentite da altri che, come lui, non sanno nulla dei problemi del Lirico.
Il Lirico di Cagliari per quest’anno ha a disposizione:
9 milioni di euro dal FUS del MIBAC
9 milioni di euro dalla Regione Sardegna
2milioni e 4 o più dal Comune di Cagliari
Altri 2milioni e sei dalla Regione per un progetto Ca-SS
Fanno 22milioni e briscola dalle quali si tolgano:
14 milioni di spese di personale
un milione e mezzo di mutuo per tutto il “famoso” buco lasciato dai tempi passati.
Rimangono più di sei milioni di euro da spendere per altro. Tenete presente che una stagione lirica, sinfonica e di balletto che prevedesse spettacoli TUTTI I MESI DELL’ANNO non costerebbe nemmeno 3 milioni.
Quindi il Lirico NON HA un problema di soldi, ha un problema di governance finora inadeguata. Punto.
“Il problema del Lirico sono le agenzie”
Ma chi è che si permette di dire stupidaggini di così enorme portata? Ma voi lo sapete come funzionano le agenzie? Lo sapete che l’agenzia la paga solo l’artista senza nessun aggravio per il teatro? Lo sapete che, se abbiamo ancora una stagione, lo dobbiamo al favore che tutte (indistintamente) le agenzie italiane hanno voluto farci concedendoci artisti a prezzi da teatrino di parrocchia? Lo sapete quanto è il cachet di un artista di caratura internazionale come De Candia, Alajmo, Antoniozzi o altri che sono venuti? No che non lo sapete. E sapete quali sono invece i cachet ai quali hanno accettato di venire? No? Beh, per essere rispettoso della privacy vi dico che sono tutti venuti a un terzo del loro cachet (UN TERZO). E questo lo dobbiamo alle famigerate agenzie di cui vi riempite la bocca senza sapere un cappero salato di quello che dite.
“La Lirica non piace più, bisognerebbe fare altro nel teatro”.
Anche questa è una delle corbellerie frequenti. Qualsiasi massaia che passa di qua si può permettere di dire delle astrusità di questa portata, ma non dovrebbero dirlo perché la Lirica è uno dei pochi settori di spettacolo IN CRESCITA DI PUBBLICO secondo i dati SIAE. Dovrebbe sapere che in un teatro come Cagliari, ogni opera di grande repertorio viene vista da almeno 9mila spettatori REALI fra repliche, prime e generali. Non piace più a chi? Ma di che cosa state parlando? Ma siete di quelli che sentono parlare della lirica solo quando TG4 parla della prima della Scala e siete ancora convinti che al teatro ci vadano le signore con la pelliccia? Ma ci siete mai venuti al lirico? No? E allora come vi permettete di dire codeste corbellerie?
“Dovremmo far cantare solo i giovani”
Un’altra delle stupidaggini che sento di frequente. Ma io mi permetto di dire, poniamo, ad un ortopedico che deve levarsi dalle scatole e lasciare il reparto in mano a una manica di pischellini che non sanno la differenza fra un omero e Omèro? Ma secondo voi il Lirico di Cagliari riceve 22 milioni di soldi pubblici per fare il teatrino della parrocchia o il festival delle debuttanti? Avanti un altro? La Corrida? Qasi Night? Ma come vi permettete di esprimere pareri artistici e di gestione di una macchina importante e delicata della quale non sapete nulla perché il quando si apre il sipario siete sempre stati in platea e non sapete nemmeno che cosa è un “camauro” o una “italiana” o una “antepiano”?
Insomma:
vi voglio dire una cosa: il Lirico non ha bisogno di altri soldi, non ha bisogno di idee artistiche che arrivino dalla strada, non ha bisogno di consigli da parte di chi nulla sa e che ragiona da profano.
Il Lirico ha bisogno di una governance seria e competente e basta. Ha bisogno di riportare il livello qualitativo e quantitativo della produttività ai livelli di cui è capace. Punto.
Fatevi tutti portavoce di questa fondamentale istanza che adesso, con il prossimo bando, potrà realmente essere soddisfatta.
Di luoghi comuni, francamente, non ne abbiamo più bisogno. Grazie.

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