venerdì 1 ottobre 2010

DEREGULATION DE NOANTRI


Di Enrico Celestino
Uno degli argomenti preferiti da Marco Tutino, coadiuvato in più occasioni da raffinati pensatori come i ministri Bondi e Brunetta e autorevoli sottosegretari come Giro e Carlucci, per avvalorare la tesi della “de-stabilizzazione” degli organici artistici dei teatri, è sempre stato: “ Sono necessarie nuove regole per permettere ai teatri lirici di funzionare meglio e produrre di più”. Che è poi il solito argomento ( politici italiani docent ) usato da chi vuole mascherare in primis le proprie mancanze e, a seguire, le proprie mire inconfessabili.
Mire e mancanze
Mire, quelle di Tutino e compagnia cantando (!) che sono, fondamentalmente, di volersi disfare dei complessi stabili dei teatri, sostituendoli con più “agili” e “snelli” complessi modulari quanto precari( un esempio fulgido è l’orchestra  co.co.pro. di Maghenzani e Pellegrini a Parma )
Lo scellerato progetto di cui Tutino è soltanto un epigono, perchè sono anni che, in maniera più o meno manifesta, viene perseguito, prevede in sostanza che un Sovrintendente possa disporre di soldi prevalentemente pubblici in uno status di completa deregulation, in assenza di qualsivoglia controllo e della benchè minima responsabilità di bilancio e quindi  continuare a foraggiare il sistema di agenzie artistiche da sempre imperante nel settore nonchè alimentare la nebulosa attribuzione di compensi non precisamente quantificabili, anche per la natura stessa delle prestazioni artistiche, il tutto in un contesto ad alto rischio di evasione fiscale.
Il liquidatore
Non è un mistero, per chi è dell’ambiente, che l’astuto quanto simpatico Tutino sia stato inviato come liquidatore del Comunale di Bologna.
Esclusi per ovvi motivi la Scala e l’Opera di Roma, il Comunale, all’epoca dell’insediamento di Tutino, rappresentava, fra i teatri disponibili, ciò che di più pericoloso ci potesse essere per i fautori della non-stabilità: ottima visibilità internazionale; prestigio consolidato da importanti Direttori Stabili come Chailly e poi Gatti; Orchestra compatta e organizzata sotto una sola sigla sindacale.
Era necessario scardinare tutto questo per annichilire, nella logica di “colpire uno per educare cento”, contemporaneamente tutte le Fondazioni e la presidenza dell’Anfols dello stesso Tutino con  conseguente progressiva dissociazione della maggior parte dei Sovrintendenti, è stata un ulteriore strumento per Tutino e Co.
L’uso dei media 
Sicuramente allo scopo di “terminare” le orchestre dei Teatri è stato funzionale il fuoco di copertura mediatico di cui accennavamo all’inizio, portato dai vari Bondi (“…gli attuali contratti integrativi che consentono a questi lavoratori, in alcuni casi, privilegi ingiustificati, senza garantire un’adeguata produttività.” “…i contratti delle fondazioni prevedono 16 ore di lavoro a settimana…” Carlucci ( “ Gli organici esorbitanti impediscono di usare fondi per produrre, gli stipendi assorbono l’80%” ) etc. etc.
E’ chiaro che, in prima istanza, se cotanti galantuomini sapessero di trovarsi in presenza di un’informazione meramente degna non si permetterebbero di propalare così enormi scempiaggini prive  di fondamento  di logica come “ …concertare nuove regole per cui si lavori di più e meglio, senza vuoti di programmazione, con turni più serrati e senza ricorrere ad aggiunti esterni…” o  “…se anche il Fus fosse il doppio, i teatri non farebbero una sola recita in più…”.
Un giornalista un minimo informato sulla materia, infatti, potrebbe smontare prontamente il castello di carte del Pinocchio di turno citando i dati reali o domandando perchè allora l’orchestra di Bologna, ad esempio, è ampiamente sottoutilizzata rispetto al contratto di lavoro.
Questa mattina sul Fatto Quotidiano, Marco Travaglio diceva: “…il compito di un giornale non è quello di mettere un microfono in bocca a questo o quello, ma verificare l’attendibilità di quel che dice…”
Vuoti a perdere
Tornando al merito delle dichiarazioni, non si capisce cosa abbia a che fare il contratto di lavoro con i “vuoti di programmazione”. Questi ultimi sono legati piuttosto alle capacità di gestione di Sovrintendenti, Direttori Artistici e, casomai, degli uffici preposti.
Un’orchestra o un coro impiegati per soli dieci giorni in un mese, magari per poche serate di spettacolo, denunciano un problema di inidoneità dei cosiddetti “manager”, non dei dipendenti o del contratto.
Per essere più chiari. Se io, Prima Viola del Teatro Comunale di Bologna faccio una sola recita in un mese o ne faccio venti, costo al Teatro esattamente la stessa cifra.
Allora può darsi che il problema stia da un’altra parte.
Per esempio nei cachet di artisti e registi o nei costi degli allestimenti o magari nel mancato coordinamento fra le Fondazioni nello scambio di allestimenti. Chissà.
O, più semplicemente, tutto sta in una realtà inconfessabile: l’Italia destina lo 0,16% del PIL alla cultura, la media europea è dell’1,4%. E questo è un dato riferito a prima dei tagli Bondiani.
Però nella campagna di stampa di cui sopra ( come nel decreto Bondi ) non abbiamo mai letto nulla al proposito mentre non mancava mai una citazione a privilegi e stipendi principeschi degli orchestrali
Proposte, non proteste
E’ stato più volte dimostrato, proprio qui al Comunale di Bologna, che la risposta di pubblico a proposte di programmi anche di facile ascolto e non necessariamente con protagonisti di fama è sempre stata positiva.
I bolognesi, come il resto del pubblico italiano, hanno sete di musica ( e di spettacolo in genere ) e le serate di Musica Insieme o Bologna Festival o dell’Orchestra Mozart non bastano a soddisfarli.
Orchestra e Coro potrebbero quindi essere impiegati in produzioni a costo zero che potrebbero riavvicinare il pubblico fuggito dalle recite-saggio della Scuola dell’Opera di Tutino.

Invece no. Si è deciso che il cancro dei teatri italiani sono gli stipendi delle orchestre. E questo basti
Licenza Creative Commons
This opera is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License30 SETTEMBRE 2010...19:29

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